I primi anni
(*)Il padre Luigi Fracci fu sergente maggiore degli alpini in Russia e sua madre Santa Rocca, detta Santina, era operaia alla Innocenti di Milano.
Aveva una sorella, Marisa Fracci, anch'essa ballerina di danza classica, formatasi presso la scuola di ballo del Teatro alla Scala di Milano.
Con l’inizio della guerra Carla e la sua famiglia sfollarono presso la campagna di Volongo dalla nonna materna Argelide. Con l’inizio della scuola elementare si trasferì dalla zia a Ca’ Rigata di Gazoldo degli Ippoliti, per poi fare ritorno a Milano al termine della guerra, dove suo padre divenne impiegato dell’azienda tranviaria come bigliettaio.
Spesso i suoi genitori la portavano con loro al circolo ricreativo dell’azienda di trasporti e fu lì che alcuni amici dei suoi genitori notarono in lei uno spiccato senso del ritmo e li convinsero a farle sostenere un’audizione al Teatro alla Scala. Superò l’esame per l'interesse destato dal “suo bel faccino”, ma i primi anni furono duri, poiché sentiva nostalgia degli spazi aperti in quell’ambiente rigido a cui fu difficile abituarsi, nonostante i continui rimproveri della maestra, che la considerava ricca di doti ma svogliata.
Fondamentale sarà l’incontro con Margot Fonteyn che le permetterà di cogliere il senso di tutto quel lavoro, iniziando a sentire il teatro come “casa”.
(*) Da Wikipedia, l'enciclopedia libera: https://it.wikipedia.org/wiki/Carla_Fracci - (questi testi sono pubblicati da Wikipedia e, di conseguenza, adottati da questo sito, con licenza CC BY-SA (http://creativecommons.org/licenses/by-sa/3.0/deed.it)
La danzatrice stanca
Torna a fiorir la rosa
che pur dianzi languia…
Dianzi? Vuol dire dapprima, poco fa.
e quando mai può dirsi per stagioni
che s’incastrano l’una nell’altra, amorfe?
Ma si parla della rifioritura
d’una convalescente, di una guancia
meno pallente ove non sia muffito
l’aggettivo, del più vivido accendersi
dell’occhio, anzi del guardo.
È questo il solo fiore che rimane
con qualche metro d’un tuo dulcamara.
A te bastano i piedi sulla bilancia
per misurare i pochi milligrammi
che i già defunti turni stagionali
non seppero sottrarti. Poi potrai
rimettere le ali non più nubecola
celeste ma terrestre e non è detto
che il cielo se ne accorga basta che uno
stupisca che il tuo fiore si rincarna
si meraviglia. Non è di tutti i giorni
in questi nivei défilés di morte.
Questa poesia fu dedicata da Montale a Carla nel 1969; erano amici e legati da un rapporto di stima reciproca.